lunedì 6 novembre 2017

Lucca Comics & Games 2017

Sabato mattina, h. 6.30, suona la sveglia. Marito sta russando, io penso “dai che questo cambio di ora legale/solare mi agevola in tutto ciò”. Perché come gentile omaggio dei post 40, ci metto una settimana a regolare il mio fuso orario interno, ormai. E da una settimana mi sveglio tra le 6 e le 6.30, ahimé.


Vado dal cucciolo, che appena sente “Lucca Comics” salta su come una molla ed è pronto in un battibaleno che forse solo per partire per le vacanze e andare in gita scolastica.
Colazione al bar e via diretti a Lucca. La combo-viaggio studiata da Marito si conferma vincente: macchina fino a Viareggio e poi treno direzione Lucca.

In stazione a Viareggio pensi “beh sì, qui sono famosi per il carnevale” e poi realizzi che non siamo a febbraio e che tutti i personaggi che incontri hanno la tua stessa meta.
Il treno è caldissimo, coi finestrini blindati, gruppi di ragazzini in festa, famiglie intere, gente che si trucca e si veste, una ragazza è un meraviglioso Cappellaio Matto, quattro fanciulle sono vestite e parruccate in bizzarra maniera, ci dicono che sono personaggi di un anime giapponese, “il ritorno dei giganti” (“che forse per il piccolo ancora non va bene, magari tra 2-3 anni”). Mi rendo conto che ho continuato a fissarle negli occhi, perché il loro sguardo è più fisso del mio. Magia delle lenti a contatto spaziali.

A Lucca tutti incanalati per braccialettarci, e poi via a guardare, osservare, ammirare, stupirsi e sorridere.
Mi muovo dapprima stranita, poi sempre più a mio agio in una città antica popolata da dame e cavalieri, supereroi e personaggi steam punk, bimbi con maschere carnevalesche, fate ed elfi, Harry Potter, Grifondoro e Serpeverde, omini di Minecraft, ragazzini con pigiamoni di peluche con cartelli “free hugs” e ti verrebbe proprio voglia di abbracciarli un po’, perché a me non verrebbe proprio in mente di chiedere abbracci per strada, nemmeno con identità modificata per l’occasione. E questi adolescenti mi fanno tanta tenerezza.

In zona Star Wars ci fermiamo in un indefinito buco spazio – temporale formato da jedi, guardie imperiali, cloni, alieni, padawan, Darth Vader e Kyloren.
Il cappello preparato al piccoletto sfigura un po’, qui c’è gente seria, mi auguro che apprezzino il casalingo sforzo, guidato dalla forza.
Lui, dalla forza è guidato davvero e dopo un combattimento all’ultima spada laser, guadagna il diploma di Padawan.

I 40 minuti di coda per entrare a Hoghwarths non valgono la pena, solo un’accozzaglia di costosi gadget e tutto talmente stretto e piccolo che non riesco nemmeno a farmi fotografare mentre corro verso il muro con carrello ed Edwige, pronta ad atterrare sul binario 9 ¾. SGRUNT.

Almeno però ho visto la Professoressa Mc Grannitt, il Preside Silente e Sirius Black uguale uguale all’attore del film, appena fuggito da Azkaban. Continuo a chiedermi perché mai solo io immagino gli occhiali a mezzaluna di Silente girati in un certo modo.

L’esposizione Lego è piccola ma interessante, gli AT AT di tutti i colori, il Millenium Falcon, le Star Destroyer in varie scale. Minifigures come se piovesse, prezzi non proprio lego-friendly.
Il paglione Warner Bros ha una coda che occupa tutta la piazza, rinunciamo e annoto mentalmente “per Natale cercare borsa/zaino di Big Bang Theory e personaggi lego per Marito”.

Facciamo in tempo a vedere la sfilata del Signore degli Anelli, con un inquietantissimo Gollum, eterei elfi, buffi hobbitt e baldi cavalieri di Rohan.
Incrociamo Capitan Harlock, le sorelle di Marge Simpson, i Masters of Universe. Joker e geishe. Ragazzi con carrelli “portaborse” carichi di gadget e sacchetti.
Un gruppo di giappo-damine intonano un canto che sembrerebbe provenire dalle terre del Sol Levante. Ma chissà.
Una signora di dimensioni considerevoli ci passa davanti vestita da Ursula, il blu/viola dell’incarnato le dona, l’autoironia pure.

Ti domandi per contro come possano stare in piedi emaciate figurine pallidissime vestite di nero e con bianche parrucche che coprono lenti a contatto quasi trasparenti, dal peso massimo di 35 kg.
Immagino rappresentino qualcosa o qualcuno, ma non oso chiedere.

Alcune Wonder Woman sono wonder solo per il coraggio di girare con calze a rete e body, l’unica Hela di Ragnarok che incrociamo è più formosa della Blanchett ma ha un elmo in cartapesta talmente bello che non noti nemmeno le quattro taglie di reggiseno in più rispetto alla Cate.

Il treno del ritorno è stipato di trucchi sfatti e ascelle pezzate, piedi stanchi e occhi ancora persi in un mondo parallelo e magico, dove bene e male sono andati a braccetto, dove ognuno ha potuto essere qualcosa di diverso dalla propria quotidianità. Oppure non ha voluto esserlo per vergogna o forse, chissà, solo per poter osservare meglio.

Nessun commento:

Posta un commento

Sei davvero sicuro di voler sprecare tempo prezioso per scrivere qualcosa? Non è che preferisci andare su Google?

Cerca nel blog

I post più letti di sempre